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Nella smania proprietaria del nostro tempo, in cui, esaurite le risorse, il capitalismo cognitivo è mosso dall'ansia di creare "nuove proprietà" da sottoporre al proprio dominio, anche il Codice della Vita, il DNA umano, rischia di diventare un mero asset da cui trarre profitti. Analizzando con rigore e passione i più celebri casi di brevetti biotecnologici, muovendo fra la mistica della proprietà e le peculiarità degli IPRs, l'autore cerca di tracciare un'alternativa possibile alla pervasività del mercato auto-regolato, richiamandosi alla necessità di un contro-movimento che sia anche una nuova narrazione fondata sulla persona e sull'effettività dei suoi bisogni, nell'ottica, sempre più rilevante del dibattito contemporaneo, dei "beni comuni".